LA MIA MILANO FANTASCIENTIFICA
Un grande fotografo sotto la luna
La fotografia come passione, la voglia di rinnovarsi costantemente, la curiosità che gli dà una carica sempre nuova: queste le ragioni che spingono Edoardo Romagnoli a osservare Milano dalle più diverse angolature e a seguirne i cambiamenti con particolare attenzione. Negli ultimi anni ha documentato la ristrutturazione della Fabbrica del Vaporee la costruzione della nuova sede Campari a Sesto, coinvolgendo alcuni dei più bravi writer (Pao, Bros, Ivan, Ozmo, Miriam Secco) per decorare le palizzate esterne del cantiere. Ma ha fotografato anche le Torri di Kiefer alla Bicocca considerandole un simbolo «perché parlano dell’archeologia del futuro, sembrano in equilibrio instabile ma sono, invece, solidissime».
Milanese di nascita, trasferitosi a Torino da bambino, ha scelto di tornarci dopo la laurea per lavorare e vivere in una città che definisce generosa e schizofrenica per le sue tante contraddizioni.
 Dalla terrazza del palazzo vicino a corso Vercelli dove abita e lavora in uno studio che fu degli architetti Albini e Palanti ha cominciato anni fa a osservare la luna che nella sua fotografia occupa un ruolo importante. Ma andiamo con ordine.
«Milano è la città migliore per fare il fotografo perché qui l’attenzione è al massimo anche grazie a gallerie private come Sozzani e Forma e spazi pubblici come Palazzo della Ragione che propongono mostre da cui molto si impara. Milano l’ho fotografata spesso facendomi anche sedurre dalle strutture fantastiche della Stazione Centrale ma la documentazione, con cui pure mi sono misurato, mi interessa meno se non altro perché ci sono già ottimi fotografi che lo fanno. Preferisco una dimensione legata alla fantasia».
Nelle sue fotografie emerge una Milano che sembra nata dalla fantascienza con luci irreali, paesaggi urbani spettrali e l’immancabile luna che si sposta qua e là. «In effetti a me piacciono certe zone un po’ periferiche dove le luci notturne, le strutture di fabbriche che sembrano astronavi, i tralicci dell’alta tensione proiettati sul cielo evocano atmosfere insolite, e questo vale anche per i Navigli dove l’acqua accende mille riflessi. La mia luna? Scatto con tempi molto lunghi per creare scie luminose che sì, evocano la magia della fantascienza».
La Milano reale però è assai diversa. «Questaè la ragione per cui vorrei vedere un cartellone elettronico come quello che c’era davanti alla stazione centrale per contare i giorni che mancavano al primo viaggio del treno dell’Alta Velocità: mi piacerebbe che lì comparissero gli obiettivi della giunta, i mezzi usati e i tempi previsti. Così si potrebbe dar conto pubblicamente di successi ed errori. Ma forse questo è proprio fantascienza». Un sogno da realizzare? «Avere un sindaco extracomunitario, affascinato da Milano, che abbia la capacità di riscoprirne le radici e rilanciarla verso il futuro: un vero milanese! Non è una proposta così bizzarra se solo si pensa che New York ha avuto negli anni Trenta Fiorello LaGuardia, figlio di italiani, gli “extracomunitari” di allora. Un amico napoletano mi disse trent’anni fa che Milano era capace di renderti milanese in pochi giorni, oggi non ne siamo più capaci con i nuovi arrivati: come mai? Eppure dovremmo sapere che dal mescolarci trarremmo solo vantaggi».
Questa città ha ancora potenzialità da esprimere? «È insieme vecchia e nuovissima, è disarmonica, ma non capisce che questa è una risorsa perché consente un’ampia libertà di manovra. Bisogna però sapere come muoversi perché, come mi ha insegnato un grande grafico come Giulio Confalonieri, per raggiungere il bello bisogna soprattutto saper semplificare e muoversi con rigore all’interno di un progetto. Che città può essere, invece, quella che mentre promette ad Abbado di piantare migliaia di alberi tenta poi di abbatterne altri in quell’angolo parigino che è piazza Lavater?».
Ci resta solo la luna? «La luna sì, ma anche qualche motivo di fiducia. C’è una cosa che mi piace fare: poiché giro quasi sempre in moto, ai semafori inizio parlo sempre con quanti mi sono vicino. Ebbene, tutti ma proprio tutti rispondono, a riprova che la città non è così chiusa come si dice. Se c’è voglia di confrontarsi forse possiamo sperare in un cambiamento»

L’ulivo

Ulivo, simbolo di pace. Necessità estrema di questo mondo, traviato dalla guerra. E là giace a puntare I”obbiettivo verso l’alto Edoardo Romagnoli, che cerca sotto le fronde che lo avvolgono lo sconosciuta nel domestico.
…(a luce trascolora e si perde nel gioco inusitato delle ombre, si scontra contro il cielo, e l’ulivo mostra tutta lo sua forza centenaria. Grande e possente agli occhi del mondo e del contadino, dà i suoi frutti in silenzio, scuote la chioma al vento sullo collina e insieme ai suoi compagni vuole essere amato. Perdersi nella pace dell’ulivo è un bene che dovremmo apprezzare tutti, perdersi nel mormorio delle sue fronde e nel moto con cui scandisce il tempo Un tempo naturale, che a noi non è più permesso. Ma se sappiamo ascoltare, almeno l’eco ci ritorna.

Laura Quaglia